«Gli zingari restano una delle minoranze più emarginate e più discriminate d’Europa. La loro esperienza di razzismo, violenza, discriminazione e persecuzione attraverso l’Europa dovrebbe essere motivo di vergogna e di scandalo per noi tutti» (Commissione per i Rifugiati - 1999)

Gli zingari apparvero drammaticamente sulla scena dell’opinione pubblica britannica nell'autunno del 1997. L’arrivo a Dover di parecchie centinaia di rom cechi e slovacchi che chiedevano asilo, diede il via ad una campagna stampa che descriveva una realtà dolorosamente lontana da quel luogo di rifugio pacifico che i rom speravano di trovare presso di noi. Tutta la gamma della stampa condusse la peggior campagna di incitamento all’odio che io abbia mai avuto occasione di incontrare. La retorica di termini come “attacco”, “diluvio”, “invasione”, “imbroglio”, “marea”, “orde”, veniva agitata da giornali come The Independent, The Sun, e dal ben noto Dover Express. Volevano farci dimenticare che quei reportage trattavano di persone reali. Potevamo ben dimenticarlo, dato che quelle persone erano semplicemente “gitani”, che ci sono ben noti quando vengono ricondotti a stereotipi familiari quali: “disonesti e pigri” (The Sun, The Express); “ladri” (The Sport); “psicopatici” (The Indipendent); “fogna umana” (The Dover Express); “esercito organizzato di criminali” (The Daily Mail); “i nomadi avidi dell’Europa orientale” (The Sun). Nel mezzo di quest’orgia populista di scritti, innescata dall’ignoranza - a volte genuina, a volte voluta e legata più al razzismo che alla noncuranza - ci sono state alcune voci equilibrate i cui argomenti contrari hanno tentato di renderci più coscienti della dura realtà che si trova sullo sfondo della triste condizione dei gitani.

Chi sono?

La domanda: «Chi sono i gitani o i rom o gli zingari?», non è nuova. È vecchia quanto i 600 anni circa della loro storia europea. Eppure malgrado considerevoli successi accademici nel districare la storia dei rom, la capacità comune di rispondere a questa domanda è ancora pesantemente rinchiusa in quell’immaginario radicato nella nostra storia medievale e pre-moderna. Il popolo rom, quando non viene completamente ignorato, suscita in noi oggi gli stessi sentimenti che suscitava secoli fa, e quando parliamo di questa minoranza, la più grande d’Europa (circa otto milioni di persone), ci si trova per lo più nel regno delle emozioni e della conoscenza non documentata. All’inizio del Terzo Millennio, i rom sono per noi europei quello che sono sempre stati per i nostri antenati: un simbolo ricco e fertile dell' “altro”, di qualcuno che non è uno di noi, che non ci appartiene, che è tutto ciò che noi non siamo: di pelle scura, rumoroso, aggressivo, litigioso, bugiardo, imbroglione, ladro, pigro, non incline al lavoro, primitivo, ostile, provocatore e pagano. Il nostro lavoro duro, l’onestà e le virtù cristiane potevano essere meglio definite alla luce della loro disonestà, pigrizia e paganesimo.
Da secoli, i rom non sono considerati un popolo perché, essendo stati privati della loro identità etnica,sono piuttosto visti come un gruppo sociale di nomadi, zingari con la zeta minuscola, privi di valori culturali propri, distinti da quelli della società di accoglienza.
Un’altra credenza popolare secondo la quale i rom non sono altro che una banda di criminali senza cultura risale a parecchie centinaia di anni. Nella Germania del XV secolo, S. Munster si chiedeva se non avessero inventato la loro lingua solo per scopi criminali. Un secolo dopo, M. Bielski, polacco, scriveva nella sua cronaca: «Essi hanno inventato questa lingua per rubare, in modo che nessuno se non loro stessi li possa capire».
Anche il colore scuro della loro pelle veniva considerato da questo autore come un altro mezzo per imbrogliare e confondere gli altri: «Essi rendono i loro volti e i loro capelli neri facendo mensilmente delle applicazioni di orzo misto a fiele di mucca e olio». Spogliati di ogni caratteristica attraente e perfino della loro identità etnica, disumanizzati, deformati, distorti dallo specchio deformante dell’immaginario europeo, i rom divennero i candidati ideali per lo scopo che era stato concepito per loro. Divennero oggetto d’odio e di disprezzo nell’impunità, e tutto questo per una “buona ragione”. La b ibbia, utilizzata dai nostri antenati come un repertorio pratico di riferimenti e spiegazioni adatti ad ogni circostanza, si dimostrava all’altezza del test. Una delle teorie circa le origini degli zingari veniva collocata nel racconto biblico riguardante Caino, che per punizione divina doveva diventare “ramingo e fuggiasco sulla terra”. Sarebbe stato il primo zingaro.
Un’altra teoria biblica collegava i rom a Cam, il figlio di Noè, i cui discendenti dovevano essere puniti a causa del peccato commesso da Cam contro suo padre: «Sia maledetto Cam! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli!». C’erano molte altre teorie: che i rom venissero considerati i discendenti dei soldati che avevano ucciso i bambini di Betlemme o che dovessero portare per l’eternità il peso della colpa di un fabbro zingaro che aveva fatto i chiodi usati dai soldati romani per la crocifissione di Cristo, l’essenza era sempre la stessa. Nell’immaginario pubblico, le loro origini miserabili erano macchiate da una colpa sacrilega che non poteva venire assolta e in quanto tale richiedeva punizione.

Espulsione o morte

«Letà della responsabilità criminale dei rom dovrebbe venire abbassata fino alla nascita, perché il loro primo crimine è quello di venire al mondo».
Questa è un’affermazione pubblica fatta da Miroslav Sladek, un politico ceco contemporaneo di primo piano e leader del Partito Repubblicano che ha ottenuto l’8,5per cento dei voti durante le elezioni generali del 1998, conquistando così 18 seggi nel Parlamento ceco. Il suo messaggio non era qualcosa di nuovo. Avrebbe potuto benissimo essere tratto da qualsiasi polverosa cronaca medievale, perché il punto è che negli ultimi seicento anni, per quanto riguarda l’atteggiamento degli europei nei riguardi degli zingari o dei rom, niente è veramente cambiato.
Ogni raccolta di date e fatti riguardanti la presenza rom in Europa ci colpisce per la persistenza e continuità della persecuzione contro questo popolo. Fin dalla fine del XIV secolo, la scelta offerta ai rom in Europa era l’espulsione o la pena di morte. Espulsi virtualmente da tutti i paesi europei e, quindi, non avendo nessun luogo dove andare, i rom dovevano utilizzare tutte le loro energie per evitare la pena di morte prevista nel caso fossero stati trovati a girovagare. Dovettero imparare a nascondersi, dovettero diventare eterni partigiani o, come dice il giornale The Sun, “nomadi avidi”.
Fin dal 1500, in Germania, l’esecuzione della pena di morte degli zingari era messa alla portata di tutti. Chiunque poteva uccidere uno zingaro con impunità assicurata e la certezza di servire una buona causa. In Inghilterra la pena di morte per gli zingari, adulti e bambini, venne introdotta intorno al 1530, in Scozia nel 1541, in Danimarca nel 1536, in Finlandia nel 1559. Dire che i rom erano braccati in Europa è più che una semplice locuzione letteraria. In una cronaca tedesca del XVIII secolo si legge: «Uccisero un bel cervo, cinque daini, tre grossi cinghiali, altri nove più piccoli, una donna zingara, due uomini zingari e un bambino zingaro». L’aristocrazia tedesca aveva l’abitudine di collezionare i resti dei corpi di rom come parte dei suoi trofei di caccia.
La seconda guerra mondiale produsse la caccia più fruttuosa di tutti i tempi, con circa 500 mila persone uccise, il 35 per cento dell’intera popolazione rom. I vecchi atteggiamenti sono duri a morire. Più vicino alla nostra realtà democratica, Jan Slota, leader del Partito Nazionale Slovacco e membro del governo slovacco dal 1992 al 1998, ha affermato: «A mio parere, il solo modo di trattare con gli zingari è utilizzare una lunga frusta e un piccolo recinto». Il sindaco di Medvez, in Slovacchia, ritiene che la sola soluzione per il “problema zingaro” della Slovacchia sia di “ucciderli tutti”, aggiungendo subito dopo: «Non sono un razzista ... ma bisognerebbe proprio sparare ad alcuni zingari». I muri degli edifici pubblici delle città dell’Europa orientale divennero bacheche pubbliche per messaggi quali: “morte agli zingari”; “ gli zingari nelle camere a gas”; “uno zingaro buono è uno zingaro morto”, e così via; messaggi che passano inosservati a tutti, ma non ai rom. Dal semplice scribacchiare su muri e staccionate si è giunti ad un nuovo gioco ceco in Internet, chiamato “Uccidi i tuoi zingari”, basato su una soluzione semplice: più zingari uccidi, più punti fai.
Se uno pensasse che questi atteggiamenti appartengono solo all’Europa orientale, dovrebbe ricredersi. Un giornale, The High Wycombe Midweek (6/6/93), ha pubblicato la riflessione seguente: «È una tragedia che la nostra società continui a tollerare e anzi ad aiutare questa accozzaglia di vagabondi che spazzano via lo Stato e lo derubano a man bassa. Si deve stabilire un insediamento per gli zingari vicino a Sellafield, dove possono prendersi quante radiazioni vogliono».
Si può cercare di ignorare e di prendere le distanze da queste affermazioni come troppo estremiste, però di fatto non lo sono. E questa è precisamente la ragione per la quale i rom dell’Europa orientale cercano asilo e rifugio in Occidente. La differenza tra le due situazioni non consiste tanto in ciò che noi pensiamo dei rom, ma in ciò che ci si permette di pensare senza biasimo, contro di essi.

L’odio contro i rom

La caduta del comunismo nell’Europa orientale e la trasformazione degli Stati postcomunisti in democrazie moderne viene spesso descritta in termini come “senza spargimento di sangue”, “pacifica” o la rivoluzione “di velluto”. Le cose stanno certamente così se si decide di non vedere l’impatto che questa trasformazione ha avuto sulle minoranze e specialmente sul popolo rom. Essi hanno pagato il prezzo più alto per la libertà di espressione ritrovata dall’Europa orientale. L’odio contro i rom, che era stato soppresso per così tanti decenni da un regime autoritario, poteva ora venire liberamente in superficie e stigmatizzare i rom con gli stessi vecchi stereotipi negativi.
«Essi sono cittadini normali, ma la gente preferisce pensare che sono malvagi perché solo allora può incolpare gli zingari per i propri fallimenti e incanalare la propria rabbia contro di loro».
Così parlava un polacco intervistato per le strade di Ziebice, una città della Polonia del sud dove negli ultimi anni ‘90 una campagna di violenza e di terrore aveva costretto circa settanta famiglie rom a fuggire per salvarsi la vita.
«Per quanto riguarda l'anima, dubito che ne abbiano una», disse un parroco di una zona del sud della Polonia. Per secoli sono stati considerati “pagani cristiani” che “non hanno religione né fede” e che “accettano solo superficialmente la religione del paese che attraversano.
La marea di violenza e di pogrom sistematici contro i rom coprì i Paesi dell’Europa orientale, lasciando dietro di sé case bruciate, finestre rotte, corpi mutilati e in molti casi perdita dei loro cari: padri, madri, sorelle, fratelli e figli. In Romania, circa 300 rom sono stati uccisi con atti di violenza razzista dal 1989. Nella Repubblica Ceca si sono registrati 1.205 attacchi razziali tra il 1990 e il 1997; tra il 1990 e il 1993, ventisei rom sono stati uccisi e nel 1998 -’99, il numero delle vittime della violenza era ancora in crescita. In Polonia non ci sono dati statistici che mostrino la marea della violenza contro i rom, né studi completi e dettagliati che analizzino la situazione della minoranza rom.
Inoltre, non c’è alcuna pressione internazionale, non ci sono occhi investigatori di giornalisti stranieri che fiutino lo scandalo, non ci sono attivisti per i diritti umani decisi ad affrontare il mondo. A nostra disposizione ci sono dei rapporti troppo spesso frammentari, troppo generali, troppo eufemistici e talvolta persino contraddittori e devianti. In altre parole, in Polonia non c’è neppure una piccola traccia di scandali di importanza internazionale, ma ci sono dei pogrom anti-rom.

Il razzismo della polizia

Nel 1995, un’inchiesta condotta dal Ministero ceco degli Interni per le Accademie di polizia rivelò che l’80 per cento degli studenti manifestava un elevato livello di razzismo. Una grande maggioranza degli studenti intervistati affermò che se avesse visto un bambino rom assalito per strada, non lo avrebbe aiutato. Una ricerca simile non è mai stata fatta all’interno del corpo di polizia della Polonia, poiché le autorità polacche non riconoscono l’esistenza del razzismo.
Al contrario, le pratiche correnti della polizia nei riguardi della minoranza rom riflette il disprezzo e l’odio che sono sentiti dalla maggioranza della società. Abusi verbali come: «Voi zingari dovreste essere portati tutti nella foresta e fucilati», o «Voi gitani siete sempre portatori di disordini», vanno a braccetto con azioni arbitrarie e brutali della polizia (come: arresti di gruppo, detenzione fino al massimo consentitodalla legge senza accuse, abusi fisici gravi e tortura).
La polizia utilizza anche delle strategie che vittimizzano ancor più coloro che già sono vittime. I rom sono spesso minacciati da agenti di polizia con l’arresto o pene pecuniarie per chiamate d’emergenza senza causa reale, fatte nel contesto di attacchi subiti o del timore di attacchi.
La polizia della città di Swidwin adotta una politica diversa: gli uomini rom sono oggetto di arresti di gruppo regolari per prevenire gli attacchi di neo-fascisti o di gruppi militari estremisti, e questo col pretesto che è più sicuro per loro essere rinchiusi in prigione piuttosto che essere persone libere che avrebbero o potrebbero avere la scelta di difendere le loro donne e bambini indifesi.
A livello nazionale, il razzismo e la persecuzione contro i rom sono coperti da silenzio.
Il riconoscere e il prendere coscienza del problema ai massimi livelli presuppone che si prendano misure globali per combatterlo. Invece il non riconoscerlo è la sola via sicura per nascondere la realtà, e quindi per tentare di sfuggirvi impunemente.
Il governo dichiara: «I rom non sono perseguitati, in Polonia: abbiamo qui un fenomeno tipico di emigrazione per ragioni economiche».
«La situazione dei rom in Polonia non è così cattiva come la presentano essi stessi», ha affermato J. Mojsiejuk direttore dei Diritti Umani al Ministero degli Interni.
Ci sono vantaggi politici tangibili provenienti dalla retorica ufficiale del diniego, e cioè la richiesta della Polonia di far parte dell’Unione Europea.
La situazione della comunità rom in Polonia svela la cruda realtà di abuso dei diritti umani, della mancanza di protezione da parte della polizia contro la violenza razziale, e le politiche discriminatorie dello Stato per quanto riguarda l’istruzione, l’alloggio, e il lavoro della comunità rom.
Il negare la credibilità delle richieste dei rom è, da una parte, una scelta politica cosciente per venire incontro alle attese e alle richieste della Comunità Europea; d’altra parte, il negare è anche un atteggiamento sub-cosciente fortemente radicato negli abissi del pregiudizio e del disprezzo.

False richieste di asilo

I rom che richiedono asilo, fuggendo la persecuzione razziale dall’Europa orientale, non suscitano molte simpatie in Europa occidentale. La posizione ufficiale rafforza la credenza popolare secondo la quale sono richieste di asilo “false”, trattandosi in realtà di migranti per ragioni economiche che invadono la Gran Bretagna per spazzare via lo Stato.
Il Ministro dell’Immigrazione, Mike O’Brien, è apparso sulla stampa polacca insistendo chiaramente con il messaggio: «Siete nell’errore se credete che sarete i benvenuti in Gran Bretagna. Non crediate che il popolo britannico abbia disposizioni morbide. I soldi che spendete per il vostro viaggio verso l’Inghilterra sono soldi buttati via».
Parlando alla TV ceca e slovacca ha affermato: «Consideriamo le vostre richieste di asilo come false; vi spediremo indietro il più rapidamente possibile; potreste benissimo passare in detenzione il tempo del vostro soggiorno nel Regno Unito».
Sono stata personalmente coinvolta nelle procedure dell’Ufficio di Immigrazione del Regno Unito per quanto riguarda i rom che chiedevano asilo. Nelle molte occasioni in cui ho partecipato ai colloqui in quanto osservatrice esterna e interprete, sono stata disgustata dal disprezzo diffuso che funzionari dell’ufficio e alcuni dei loro interpreti ufficiali e impiegati esprimevano liberamente nei riguardi dei rom.
Ho condiviso la loro paura ed ero personalmente spaventata dal modo con cui quei colloqui, che erano piuttosto degli interrogatori, venivano condotti. Quasi ogni gesto e osservazione dimostravano gli stessi atteggiamenti pregiudiziali che prevalgono tra gli europei orientali. Questo mi sembrava un insulto evidente, in quanto i rom venivano giudicati prima che avessero la possibilità di parlare.
Il cento per cento delle richieste di asilo presentate dai rom vengono respinte dal Ministero degli Interni. Ho letto e tradotto centinaia di lettere di rifiuto da parte del Ministero degli Interni durante gli ultimi tre anni. La mia impressione è che tutte queste lettere usino la stessa retorica di scetticismo e di rigetta, qualunque sia la gravità del caso in questione.
Secondo la mia esperienza, i rom che chiedono asilo non esprimono né sorpresa né shock di fronte al moda indifferente, altezzoso e sprezzante col quale vengono trattati qui. Sono stoici e rassegnati, essendo evidentemente abituati a trattamenti peggiori altrove. La speranza che li ha condotti qui non dura a lungo. Proprio come erano vulnerabili e impotenti di fronte all’oppressione e alla violenza in patria, così si sentono impotenti di fronte alla burocrazia britannica, che richiede loro credibilità e negandola allo stesso tempo.
Padre J. Tischner ha scritto che la «storia dei rom ci dice molte cose sulla coscienza umana, in particolare sulla coscienza cristiana».
Quando il 91 per cento dei cechi e degli slovacchi, il 79 per cento degli ungheresi, il 73 per cento dei polacchi, il 59 per cento dei tedeschi e il 50 per cento degli spagnoli dichiarano il loro odio contro i rom, si può dire che essi sono ancora l’alter ego dell’Europa, o, come si esprime M. Kaufman, «la disgrazia perdurante dell’Europa». Fonseca osservava: «In un mondo illuminato, o per lo meno in un mondo che si compiace dell’eufemismo, è ancora cosa accettabile odiare gli zingari».
L’impotenza dei rom è ulteriormente accresciuta dal loro quasi totale isolamento e solitudine nel portare questo peso.
La loro sorte miserevole è stata finora riconosciuta e condannata solo da pochi e non hanno ancora ricevuto alcun tipo di quel sostegno pubblico che ha contribuito a smantellare le strutture di oppressione in Sudafrica o negli Stati Uniti. Il primo passo potrebbe essere quello di riconoscere i resti di razzismo contro i rom che si trovano in noi stessi, ma questo potrebbe dimostrarsi difficile o addirittura impossibile.
Una tipica reazione di autodifesa potrebbe essere simile a quella di R. Marek: «Come può una persona calunniarmi in questo modo? Io non sono per nulla razzista. Sono un credente praticante ed ogni domenica faccio la carità ad una zingara mendicante alle porte della chiesa. Accarezzo il suo bambino e ogni tanto allungo loro una caramella».
Così i rom devono aspettare; hanno aspettato così a lungo.
Per alcuni di loro, abbastanza a lungo da chiedere: «Quanto vediamo ci provoca grande paura. Noi rom dobbiamo chiedere: c'è spazio per noi da qualche parte?».
Per altri emarginati, respinti, discriminati, perseguitati e profondamente feriti, ciò che resta è sussurrare: «Perché Dio ha creato i rom se il nostro destino è di essere così, dovunque?». «Dov’è Dio? Ci ha forse dimenticati?».