MISSIONI E POPOLI

Brasile

Caro Dio

testo e foto di Alberto Marinetti

Se vuoi celebrare la tua paternità universale; se vuoi celebrarti come il Dio di tutti, entra nel cuore della vittima. A piedi scalzi. Inginocchiati. Chiedi perdono e bacia le sue stigmate.

ti scrivo, perché tra le tante lettere agli amici, questa vuol essere tutta per te. Dicono che sai tutto. Dev’essere così monotona la vita d’uno che sa tutto. Dall’infinita varietà delle tue albe e tramonti, deduco che, su un foglio così ordinario del cielo, sai inventare sempre nuovi paesaggi di colori.
L’alba sfolgora delle tinte d’una tale tenerezza, che non posso fare a meno di rassomigliarla al tuo volto; il tramonto mi avvolge in una tale intensità di colori forti, che mi fa pensare alla tua nostalgia per noi.
Perché gli addetti ai lavori ti presentano lontano, astruso, inafferrabile? Io ti vivo così vibrante e così mutevole nei colori, che devono essere l’espressione tangibile dei tuoi sentimenti.
Non è forse vero che nel cielo rifletti quello che sei, quello che provi per noi? Voglio trattare con te un argomento che ti è congeniale: i poveri. Non sono la tua passione? Te ne parlo, perché sei l’interlocutore più coinvolto con loro. Non gli hai promesso il Regno?
Non hai stretto un patto d’alleanza che ti lega al loro destino davanti alla storia? Io - con loro - reclamo l’adempimento di quella promessa: "Butterò giù i prepotenti e innalzerò gli umili". Oggi diresti: "Schiaccerò le monete forti, le economie onnipotenti, i popoli che riducono altri popoli ad economie di servizio, a riserva di manodopera sottocosto".
Convengo con te: per parlare dei poveri non serve fare della teologia. Ti vergogneresti, vero?, a sottilizzare alla faccia di chi ha la pancia vuota. Per accedere al povero non hai trovato altra strada se non la carne del Figlio. Ti sei fatto alla pari, perché è l’unica maniera di provare quello che prova il povero.
È così che ci piaci, perché prima di beatificare chi piange, sai piangere; prima di beatificare chi è perseguitato, sai cos’è la persecuzione. Ci piaci, perché scendi da ogni piedistallo e non ci fai paura. Nella culla assomigli ai nostri piccoli.
Sulla croce sei esattamente il nostro ritratto: insanguinato, immobilizzato, vivo, sia pur nella morte. Ti riconosciamo in noi, che ci sentiamo morti prima ancora di morire, tanta è la nausea della vita che gli oppressori ci hanno fatto masticare.
Ci basta rifugiarci nel Venerdì santo, che è la nostra casa. Entriamo nel tuo costato come siamo penetrati nei camini di Auschwitz, nella gola di Hiroshima e, oggi, nei campi di sterminio della miseria strutturale.


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