LA ROSA

figlia dell'amore

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Storia di A. Bianchini

Un fiore, una leggenda

La leggenda della rosa è nata nell’Olimpo degli dèi e ne è protagonista Amore quando, non conoscendo ancora l’amore, si annoiava terribilmente. Venere, sua madre, lo incitava di continuo a corteggiare qualche dea, ce n’erano di bellissime, bionde, brune, rosse, a piacimento, ma Amore le trovava tutte antipatiche e orgogliose. Egli voleva una donna vera, insomma, che l’amasse senza falsi orgogli e senza inutili bamboleg-giamenti divini.
Madre Venere aveva un bel dire al figlio che ogni amore è diverso e che vale la pena sempre di assaporarlo, ma Amore era fermo sul suo punto di vista. Un giorno Venere ebbe un’idea: "Perché", chiese al figlio, "non ami Giunone?".
La domanda fece arrossire Amore: Giunone era la dea di tutti gli dèi, moglie di Giove, il dio di tutti gli dèi il quale era abituato a rendere infedeli le mogli dei suoi dipendenti, ma chissà come avrebbe reagito se Giunone, a sua volta, fosse divenuta infedele...
Voi capite il punto di vista di Giove: io faccio una cosa a te, ma tu non devi fare la stessa cosa a me... Comunque veniamo ad Amore: "Non parlatemi di Giunone, madre mia", egli rispose a Venere, "quella mi stuzzica continuamente, mi perseguita, mi tira per le ali; l’ho persino minacciata di denunciarla a Giove e lei mi ha risposto che, se l’amo, mi concede anche la dea Diana che non è mai stata baciata da nessuno". Venere stette un po’ pensierosa, preoccupata per il figliolo.
A un tratto il suo viso si illuminò: "Figlio mio, ho un’idea: scendi sulla Ter-ra, che è uno dei pianeti più piccoli, ma anche dei più belli perché illuminato dal sole e là troverai delle bellissime donne che adorano gli amori facili e ardenti... donne che ti faranno dimenticare tutte le dee dell’Olimpo".
Ad Amore l’idea piacque subito e guardò compiaciuto le frecce nella faretra pensando a quanti cuori femminili avrebbero trafitto. Il giorno do-po studiò la carta topografica del sistema planetario e battendo le sue ali rosa partì, giunse nel cielo dell’India e atterrò in un delizioso bo-schetto sulle rive del Gange.
Era il primo pomeriggio, dalla terra salivano mille profumi di fiori, l’aria avvolgeva tutto in un calore un po’ spossante. Amore si allontanò dal boschetto e, in cerca di una brezza mitigante, si diresse verso le rive del grande fiume. Sulla sabbia umida, disteso su di una pelle di tigre, c’era un corpo bellissimo di donna i cui lunghi capelli scoprivano e coprivano le nudità in un gioco di pudicizia e d’impudicizia.
La donna dormiva, la bocca appena schiusa che permetteva di vedere i denti bianchissimi. Amore ne fu estasiato: non aveva mai visto in tutto l’Olimpo una creatura così meravigliosa.
Egli sentì battere in tutto il suo giovane corpo il tremito del desiderio e non fu capace di trattenersi dal dire: "Come sei bella!". La giovane donna, svegliatasi, aprì gli occhi e, quasi avesse riconosciuto nella realtà il personaggio del suo dolce sogno, sorrise ad Amore e rispose con voce calda e suadente: "Anche tu sei molto bello!".
Non ci furono altre parole tra i due: il bacio appassionato e lunghissimo che li unì in uno slancio senza freni non lasciava posto a inutili parole... Lassù nell’Olimpo, nel frattempo, le faccende non si mettevano bene per il dio Amore sceso in Terra in cerca di avventure.
Giunone, dopo aver cercato Amore dappertutto, s’era fatta prestare un cannocchiale da Saturno e con questo scrutava tutti i pianeti per vedere dove Amore era emigrato. A un tratto lo vide sulle rive del Gange, su di una pelle di tigre, strettamente abbracciato a una bella sconosciuta. Giunone andò su tutte le furie: "Giove", urlò come una belva ferita, "dammi il più potente di tutti i tuoi fulmini: subito, sbrigati".
Giove, paziente, diede alla moglie il fulmine che Giunone scaliò con forza in quel punto della Terra in cui quei due stavano godendo l’amore. Il fulmine s’infranse fra le membra intrecciate di Amore e della ragazza, ridusse in polvere i due giovani corpi ma non riuscì a disgiungere le labbra che si erano fuse in un bacio interrompibile.
Da quelle labbra, avvinte per sempre, nacque la rosa di maggio, profumata come quel bacio d’amore. Le punte del fulmine di Giove erano divenute le spine che fanno appunto corona al bellissimo fiore.

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