ATTUALITA' E CULTURA .
Maternità
Copertina del mese di Maggio 2001

Il Direttore
ILuciano Garibaldi


Il volume di cui si parla


Nella foto:
Luciano Garibaldi, autore del libro, con Pietro Corradori


Matera, 1936, visita di Mussolini, con Starace

Vita in Convento
Roma, 1936, Mussolini in piazza Venezia in occasione del XIV annuale della Rivoluzione




di Luciano Garibaldi

Dal volume, uscito in libreria a fine marzo, «Vita col Duce», di Luciano Garibaldi (edizioni Effedieffe, Milano, largo V Alpini 9, telefono 02-481911, pagg. 216, lire 30.000), riprendiamo, per gentile concessione dell’editore, il capitolo relativo ai rapporti tra Benito Mussolini e la religione. Il libro «Vita col Duce» si compone di due parti: nella prima parte l’attendente di Mussolini, Pietro Carradori, oggi novantenne, racconta all’Autore i suoi ricordi. Nella seconda parte, Luciano Garibaldi narra i capitoli centrali delle vicende politico-militari italiane tra il 1942 e il 1945 e si sofferma sulla personalità di Benito Mussolini.

È stato un sacerdote, don Ennio Innocenti, teologo e storico, a ricostruire il cammino di Mussolini verso la fede. Lo ha fatto con un libro, «Disputa sulla conversione di Benito Mussolini», pubblicato a Roma a metà degli Anni Novanta. Don Ennio Innocenti ha dedicato dodici anni di ricerche e investigazioni personali a questa insolita vicenda. In un un primo momento, ha rivelato quanto ebbe a confidargli padre Eusebio OFM, al secolo Sigfrido Zappaterreni, cappellano capo delle Brigate Nere, trasferitosi in Argentina dopo la guerra e morto a Buenos Aires. Più volte - questo rivelò padre Eusebio al confratello - egli ricevette la confessione sacramentale di Benito Mussolini. In seguito, fu un altro francescano a somministrare al Duce, dopo averlo confessato a sua volta, l’Eucaristia. Don Innocenti ha ricostruito, nel suo libro, la storia dei rapporti che legarono il Duce a padre Ginepro da Pompeiana, al secolo Antonio Conio, nato nel 1903 e morto nel 1962, predicatore popolarissimo in Liguria, dove la città di Loano gli ha dedicato un monumento in bronzo.
Antonio Conio, diventato prete dopo aver discusso una tesi di laurea dal titolo «Francesco d’Assisi, il più italiano dei Santi», partecipò alla campagna di Grecia come cappellano militare e, dopo essere stato gravemente ferito, fu fatto prigioniero e rinchiuso in un campo inglese in India. Tornato in Italia nel ’43, in seguito ad uno scambio di prigionieri feriti o malati, dichiara ai giornalisti, accorsi ad intervistare i reduci a Taranto, che ogni giorno, nel campo di prigionia, benché fosse proibito, ha celebrato di nascosto la Messa pregando per il Duce. Commosso, Mussolini vuole conoscerlo. Lo convoca a Palazzo Venezia e gli affida la presidenza del Comitato di assistenza agli ex prigionieri.
Ma il 25 luglio e il crollo del regime bloccano tutto. Padre Ginepro rivede Mussolini il 14 dicembre 1943 a Villa Feltrinelli, sul lago di Garda. Mussolini gli apre il suo animo: «Da giovare ero un eretico, con la Conciliazione sono diventato religioso in politica, ora mi sento religioso anche nella mia vita intima».
Ennio Innocenti racconta che padre Ginepro «colse immediatamente l’occasione e propose, per l’indomani, di portargli il Santissimo Sacramento. Il Duce accettò». Quel mattino, alle 9,30 - secondo la testimonianza resa parecchi anni dopo la fine della guerra dallo stesso frate ligure - un tenente di alta statura, con la penna di alpino sul cappello, accompagnò padre Ginepro per le scale e lo introdusse nella sala dove Mussolini lo aspettava. Alle dieci la Confessione era finita. Dopo aver ricevuto l’Eucarestia, Mussolini abbracciò il frate.
Padre Ginepro tornò dal capo della RSI il 30 luglio 1944 per celebrare la Messa nel suo studio. Stando alle ricerche di don Innocenti, tuttavia, l’intesa tra i due uomini si era incrinata, perché il frate, approfittando della sua condizione privilegiata, avrebbe preteso da Mussolini certe prese di posizione nei confronti dei tedeschi che il Duce non era in grado di porre in atto. Ciò raffreddò il loro rapporto e, poco tempo dopo, Mussolini tornò ad affidare i suoi problemi di coscienza alle cure di padre Eusebio.
Rimasto fedele alla RSI, padre Ginepro tornò a dedicarsi agli italiani internati in Germania, riuscendo ad alleviare in modo cospicuo le loro sofferenze. Dopo il 25 aprile ’45, fu arrestato come «criminale fascista» e rinchiuso per undici mesi nel carcere genovese di Marassi, dove tuttavia divenne popolarissimo tra i detenuti per la Messa che recitava ad alta voce, cantando, dalla sua cella. Liberato, tornò a predicare nella sua Liguria, amato da tutti, ex fascisti, partigiani e persino comunisti, tanto era il bene che la sua figura sapeva irradiare.
Oltre padre Eusebio e padre Ginepro, due figure centrali nel cammino di Mussolini verso la fede, don Ennio Innocenti cita, nel suo lavoro, altri personaggi e altri documenti sulla conversione religiosa del Duce. Prigioniero nell’isola di Ponza, dopo essere stato arrestato dai carabinieri per ordine del Re, Mussolini chiede ed ottiene di poter tenere nella sua stanza - e questo è noto - il celebre libro «La vita di Gesù», dell’abate Ricciotti. Meno noto - e di aver posto in luce la circostanza va dato merito a don Ennio - è che il 5 agosto il prigioniero invia il libro in dono al parroco di Ponza, don Luigi Dies, unitamente a questa lettera autografa di cui finora non si era saputo nulla: «Molto Reverendo, sabato 7 ricorre il secondo annuale della morte di mio figlio Bruno, caduto nel cielo di Pisa. Vi prego di celebrare una Messa in suffragio della sua anima. Vi accludo mille lire di cui disporrete nel modo più conveniente. Desidero farVi dono del libro di Giuseppe Ricciotti. È un libro esaltante, dove scienza storica, religione, poesia sono fuse mirabilmente insieme. Con l’opera di Ricciotti, l’Italia raggiunge forse un altro primato. Il mio cordiale saluto. Mussolini».
Don Innocenti ha accertato che don Dies chiese immediatamente di parlare con il prigioniero, ma ne fu impedito da un colonnello dei carabinieri, mentre, il giorno appresso, il Duce fu trasferito alla Maddalena. Qui ebbe quattro incontri con il parroco, don Salvatore Capula, che però ha portato con sé nella tomba (è morto in veneranda età nel luglio 2000) il segreto di quei colloqui. Si sono fatte soltanto ipotesi, tra cui quella che Mussolini si sarebbe confessato e comunicato.
È poi provata la proclamazione di fede cattolica fatta da Mussolini in un testamento sottratto tra le sue carte. La si ricava da una lettera manoscritta del Duce inviata alla sorella Edvige dalla prigionìa, in data 31 agosto 1943, e riprodotta nel libro di don Ennio: «In una delle cartelle che tenevo vicino al lume sul mio tavolo a Palazzo Venezia e che ho invano chiesto di riavere», scrive il Duce alla sorella, «c’è di mio pugno un testamento, maggio 1943, che dice: “Nato cattolico, apostolico, romano, tale intendo morire. Non voglio onori funebri di nessuna specie”. Porto a tua conoscenza queste mie volontà».
In effetti, il lento cammino di Mussolini verso la fede, dalle spavalde professioni di ateismo del periodo socialista, e addirittura dai sacrilegi compiuti con Pietro Nenni, quando, assieme, profanarono un tabernacolo, è contrassegnato da decine di episodi significativi, di cui il Concordato dell’11 febbraio 1929 non è che il più vistoso. Ennio Innocenti li ha rintracciati su vari testi e documenti e li elenca scrupolosamente.
Al di là dei comportamenti contraddittori dei primi anni del regime (Mussolini ripristina il Crocifisso nelle scuole, ma poi scioglie l’Azione Cattolica), dovuti alla lotta politica contingente, c’è un filone preciso che indica il cammino interiore. Nel discorso alla Camera del 21 giugno 1921 afferma: «Penso che l’unica idea universale che oggi esiste a Roma è quella che si irradia dal Vaticano». Nel 1923, recuperando gli anni perduti nell’affermazione del suo ateismo, fa battezzare i figli. Nel 1924, a Vicenza, dice: «Se sono entrato in chiesa e mi sono inchinato dinnanzi all’altare, ciò non ho fatto per rendere un omaggio superficiale alla religione dello Stato, ma per un intimo convincimento». Nel 1925 scrive a padre Semeria, il famoso barnabita ligure: «La bontà non può essere scettica, deve essere credente». Lo stesso anno, il 29 dicembre, sposa la sua compagna, Rachele Guidi, nella chiesa di Santa Maria Segreta, a Milano, dinnanzi al parroco don Natale Magnaghi, che annota l’evento sul registro parrocchiale «con tutte le caratteristiche della regolarità». Si è confessato? Don Innocenti non ne dubita, e individua in padre Tacchi Venturi SJ il confessore. La riprova? Qualche tempo dopo, il Duce fa restaurare a proprie spese la statua della Madonna del Fuoco, protettrice di Forlì, ch’egli aveva picconato in gioventù, e firma il decreto che riconosce civilmente la solennità del Corpus Domini. È la «penitenza» che gli è stata assegnata dal confessore.
Pochi giorni prima della firma dei Patti Lateranensi, confida alla nipote, Rosetta Mancini, figlia della sorella Edvige: «Quando leggerai sui giornali la notizia dei Patti tra lo Stato italiano e la Chiesa, ricordati del segno della Croce che mia madre, tua nonna, mi tracciava sul capo ogni sera, mentre io mi addormentavo nella nostra povera casa di Dovia».
Nel libro «Parlo con Bruno», scritto in memoria del figlio, precipitato con un aereo a Pisa, ecco infine una frase che rivela fede profonda in Gesù Cristo: «Una sola goccia del sangue che sgorgò dalle tue tempie lacerate vale più di tutte le mie opere passate presenti future. Perché solo il sacrificio del sangue è grande; tutto il resto è effimera materia». E nell’ultimo suo scritto, la lettera alla moglie Rachele, vergata all’alba del 26 aprile 1945 nella prefettura di Como prima di avviarsi verso la trappola mortale di Dongo, si legge: «Ti giuro affetto davanti a Dio. Bruno, dal Cielo, ci assisterà».