Peccati e peccatori

I ruffiani

di Silvio Ceccato

Di solito, ve ne sarete accorti tutti, quando parlo di peccatori un po’ di pena io la provo. Mi dispiace sempre che qualcuno si faccia male da solo. C’è però una categoria che, ben lontana dal suscitare la mia comprensione, mi avvilisce e mi repelle.
Lo ammetto, ci sono degli uomini e dei peccati che mi piacciono poco. Mi riferisco per esempio ai ruffiani. Ce ne sono tanti e ancor più, chissà perché, in periodo preelettorale. Chi non ha assistito al carosello, magari di intellettuali e artisti, alle loro "dichiarazioni spassionate" su questo o su quel candidato? Noti ladri diventavano "uomini a cui far riferimento nei momenti difficili"; persone dimostratesi senza ombra di dubbio, né possibilità alcuna di appello, incapaci, ignoranti e cialtrone sono assurte agli altari di "onesti e capaci amministratori"; guerrafondai, distruttori della cosa pubblica a favore della costruzione di cosa nostra, elogiati quanto e più di una superba interpretazione di Caruso. Eccetera. Non si resiste, c’è qualcosa che offende profondamente.

Due consolazioni, tuttavia, ci sorreggono. La prima, quasi sconfortante, ci viene dalla Storia. L’asservimento della cultura al committente (qualche volta chiamato mecenate), al potere, alla moda è un male universale, di cui si hanno notizie da tempi antichi, antichissimi. L’occasione è perfetta per rileggere Del principe e delle lettere dell’Alfieri. Orazio, Virgilio, Ovidio, Tibullo, Ariosto, Tasso, Molière, Corneille: peccatori di prim’ordine. Eschilo, Cicerone, Tacito, Dante, Machiavelli: non sempre puri. Si legga, a proposito di Virgilio nel catalogo di coloro che han fatto grande Roma: "…Virgilio spende diciannove altri eccellenti e toccantissimi versi per far menzione d’un Marcellotto, nipotino d’Augusto, morto nell’adolescenza…, ma per Catone un mezzo verso basta a Virgilio…, e Cicerone dalla codardia di Virgilio viene insultato con infami parole...".
Foto D. Morandini

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