La storia
La facciata della Certosa

foto: Aurelio Heger

LA CERTOSA RACCONTA ...

di Daniela Pogliani Ceccato

Una donna si innamora della Certosa di Milano.
Solo così questo monumento racconta la sua storia;
la fertile attività culturale e artistica, il mistico silenzio, l'ora et labora dei monaci.
Ma un brutto giorno qualcuno ordinò che i certosini se ne andassero. E lei, la Certosa, si chiuse in se stessa..
.

Debbo riconoscere che il nostro non fu certo un colpo di fulmine. Anzi, non ci piacemmo proprio. Io ero sudaticcia e svogliata; lei, lei non fece nulla per sedurmi. Silenzio di pietra. D’altra parte, che cosa ci si può aspettare da dei muri? A meno che non accendano quel magico, e sconosciuto, che forse vive in ciascuno di noi…
Me ne andai imbarazzata, scontenta, sicura che non ci saremmo viste più.
Ci rivedemmo invece quasi un anno dopo. Ma il nuovo incontro, se possibile, fu anche peggiore. Lei era tutta polvere e impalcature; io ero seccata di farmi impolverare le scarpe di seta blu, e, per di più, sudata. Ma perché mai dovevamo ritrovarci nel giorno più afoso dell’estate?
Sembra impossibile, ma ora che ci amiamo teneramente, di tanto in tanto ci divertiamo a raccontarci della nostra iniziale e reciproca antipatia. Lei dice: «In tanti anni che vivi a Milano, proprio tu che ami andar per chiese, tanto che un giorno rapita dalla bellezza di Santa Maria Incoronata non ti accorgesti che chiudevano le porte e dovesti ricorrere al telefonino per farti liberare, bene proprio tu non sapevi neppure della mia esistenza... Se penso poi che avevi persino abitato in viale Certosa, a pochi passi da me, e nemmeno ti eri chiesta del perché del nome… ammetterai che ero un po’ offesa… E avevi un tale sguardo di sufficienza la prima volta che venisti! Poi raccontasti a una tua amica: “Non è un granché la Certosa di Garegnano”».
«Hai ragione su tutto - ribatto - ma non sullo sguardo: non era di sufficienza; era di stanchezza, di rassegnazione. Ricordo perfettamente, quella domenica dell’agosto 1998. Per l’estate avevo accettato, mossa da ragioni di sopravvivenza psicologica, un lavoro così poco adatto a me: un censimento, promosso da un ente pubblico, dei beni monumentali significativi di Milano. I dati, in gran parte forniti dalla Soprintendenza ma non sempre aggiornati, richiedevano sopralluoghi di verifica.
Quel giorno toccava a te. Il tuo numero progressivo era fornito dall’Archivio Vincoli 28, data del provvedimento 28.6.1912, ubicazione via Garegnano/via Pareto. La visita confermò i dati, ma sai che allegria sentirsi soli a Milano in agosto! E poi, ti confesso, mi ha disturbato soprattutto l’ambiente circostante, la cosiddetta “zona di rispetto”, una sfilza di edifici insignificanti, e la prepotente presenza delle autostrade.
All’interno non ho incontrato nessuno: ho gironzolato un po’ guardandomi intorno, mi sono soffermata a sfogliare un messale aperto su un leggìo, ho cercato di interpretare dai dipinti di Daniele Crespi le storie di San Bruno (chissà poi perché lo chiamano Brunone!) e di San Ugo. Non ho trovato nessun monaco cui poter rivolgere qualche domanda. Neanche un “prete per chiacchierare”. Cosa che mi è sempre piaciuta, anche per quella loro curiosità del prossimo che sembra il primo gradino di una scala verso la comprensione e l’amore del prossimo medesimo».


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