Brian è visibilmente soddisfatto della mia delusione: "Ti faccio vedere gli unici due edifici di interesse". Mi porta alla Galleria Nazionale dove è esposta un’ampia collezione di arte aborigena e bianca, con dipinti su corteccia, telee dupun, tronchi cavi e dipinti in cui venivano messe le ossa dei defunti.
La Galleria raccoglie anche un’interessante esposizione di mobili, ceramiche e oggetti che risalgono alla prima colonizzazione del continente. "Sei pronta per Sydney?". "Sono pronta", rispondo. In auto riesco a gettare un occhio sulle semplici costruzioni dell’Università Nazionale e dell’Accademia delle Scienze, disegnate da Roy Grounds, di grande valore architettonico.
L'appuntamento con Liz è alle 12 davanti al porto. Sono tre giorni che Brian non vede la moglie e da come cammina spedito deduco che la lontananza deve essergli pesata. "Eccola!". Il sorriso che gli illumina il viso è la conferma. Ma rientra subito nel ruolo: "Gireremo a piedi, è la cosa migliore".
Liz si unisce a noi, ragguaglia velocemente il marito circa i bambini che ha lasciato ai nonni e un paio di pecore che sembrano aver contratto una malattia. Poi il giro comincia, anzi per me è già cominciato perché dal momento che ho visto il porto non sono più riuscita a staccare gli occhi da questo superbo ancoraggio naturale, con insenature profonde che penetrano la città da due lidi. Il celebre Harbour Bridge, il Ponte del Porto, pur essendo una notevole opera di ingegneria, a parte le dimensioni, non ha alcuna particolare bellezza.
Dal punto di vista architettonico i dintorni non sono granché, ma il panorama generale del golfo, con le piccole baie e gli estuari, è molto vivace e lo stesso porto, con certe luci e visto da angolazioni diverse, è talmente affascinante che tutti i tentativi umani per rovinarlo non sono riusciti a distruggerne la naturale bellezza. Brian condivide l’entusiasmo: "Se poi si assiste alla gara di yacht Sydney-Hobart, in cui centinaia di piccole imbarcazioni si intrecciano sugli estuari scintillanti in uno stormo di vele in corsa, si entra nello spirito più autentico di questa città che ha in sé qualcosa di magico".
La Galleria raccoglie anche un’interessante esposizione di mobili, ceramiche e oggetti che risalgono alla prima colonizzazione del continente. "Sei pronta per Sydney?". "Sono pronta", rispondo. In auto riesco a gettare un occhio sulle semplici costruzioni dell’Università Nazionale e dell’Accademia delle Scienze, disegnate da Roy Grounds, di grande valore architettonico.
L'appuntamento con Liz è alle 12 davanti al porto. Sono tre giorni che Brian non vede la moglie e da come cammina spedito deduco che la lontananza deve essergli pesata. "Eccola!". Il sorriso che gli illumina il viso è la conferma. Ma rientra subito nel ruolo: "Gireremo a piedi, è la cosa migliore".
Liz si unisce a noi, ragguaglia velocemente il marito circa i bambini che ha lasciato ai nonni e un paio di pecore che sembrano aver contratto una malattia. Poi il giro comincia, anzi per me è già cominciato perché dal momento che ho visto il porto non sono più riuscita a staccare gli occhi da questo superbo ancoraggio naturale, con insenature profonde che penetrano la città da due lidi. Il celebre Harbour Bridge, il Ponte del Porto, pur essendo una notevole opera di ingegneria, a parte le dimensioni, non ha alcuna particolare bellezza.
Dal punto di vista architettonico i dintorni non sono granché, ma il panorama generale del golfo, con le piccole baie e gli estuari, è molto vivace e lo stesso porto, con certe luci e visto da angolazioni diverse, è talmente affascinante che tutti i tentativi umani per rovinarlo non sono riusciti a distruggerne la naturale bellezza. Brian condivide l’entusiasmo: "Se poi si assiste alla gara di yacht Sydney-Hobart, in cui centinaia di piccole imbarcazioni si intrecciano sugli estuari scintillanti in uno stormo di vele in corsa, si entra nello spirito più autentico di questa città che ha in sé qualcosa di magico".
