UN MUSEO VIVENTE DI ANTROPOLOGIA

Gli aborigeni arrivarono in Australia 25 mila anni prima di Cristo. Rimasero un popolo nomade e cacciatore, senza cognizioni di agricoltura. Oggi se ne contano circa 160 mila. Sradicati dalla terra e dalle loro abitudini di vita vivono con difficili problemi di integrazione e le periferie delle grandi città sono il teatro del loro dramma umano.

Una volta il mondo era una landa desolata, senza vita e senza piante, avvolta nella notte che ne custodiva il segreto. Poi, dal cuore della Terra, arrivarono gli Antenati, nobili esseri, che sintetizzavano in se stessi la natura umana, animale e vegetale. Nel loro vagare, questi giganti del sovrannaturale forgiavano il paesaggio con il loro canto: creavano fiumi, montagne e caverne. La loro presenza generava la vita delle piante, degli animali e dell’uomo, in un tempo che non aveva fine".
E' la moglie di Brian, Liz, a raccontarmi il Tjukurapa, il “Tempo del Sogno”, il momento epico della creazione, in cui passato e presente si fondono perdendo il loro significato temporale. "È un rituale legato ai miti ancestrali in cui l’uomo diventa parte del canto, della terra, dell’Antenato stesso". Liz è aborigena e, intorno al tavolo di un ristorante, non manca di qualche punta di amarezza: "Racconto il “Tempo del Sogno” ai miei figli affinché non perdano la loro identità". La società australiana ha rimosso il male che ha fatto agli aborigeni.

Quando i primi scopritori arrivarono nel continente, non capirono nulla di questo popolo, tanto che uno di essi, quando li vide per la prima volta, scrisse: "Gli abitanti di questo Paese sono i più miseri del mondo". E con questa frase aprì le porte al “progresso”.
Gli aborigeni arrivarono in Australia 25 mila anni prima di Cristo, nell’era in cui c’erano i ponti di terra tra il continente, la Nuova Guinea e la terraferma asiatica. Sebbene il loro luogo d’origine sia incerto, possono essere collegati a certe tribù primitive trovate a Ceylon, in Malacca e in Giappone. Si ritiene che gli aborigeni avessero raggiunto un grado di culturapiuttosto complesso, ma l’invasione dei mari, a nord, li tagliò fuori per millenni dalla patria d’origine e, in tal modo, anche dalla precedente civiltà.
Rimasero, così, un popolo nomade e cacciatore, senza cognizioni di agricoltura e senza animali domestici. I loro strumenti erano limitati a quelli utili per procurarsi il cibo: avevano perfezionato l’uso del woomera, un attrezzo che permetteva di scagliare una lancia oltre i 120 metri, e del boomerang.

Liz, mentre racconta, riesce a essere ironica: "I bianchi non hanno mai imparato ad usare il boomerang però lo hanno fatto diventare un simbolo nazionale. Così come non hanno mai imparato la nostra lingua che trovavano troppo gestuale e primitiva".
Gli aborigeni abitavano il continente divisi in 500 tribù e si esprimevano in 270 lingue diverse. Il loro lessico era funzionale all’economia tribale, ricco quindi di dettagli sulla caccia, sulla raccolta e sulle credenze religiose. Parlavano toccando gli interlocutori, ma senza guardarli negli occhi perché lo sguardo era ritenuto “prevaricatore” della natura interiore della persona che si aveva davanti. Il gesto era la forma di comunicazione più ricca: nomi, verbi, avverbi, aggettivi venivano resi con cenni diversi e, nei grandi spazi desertici, permetteva loro la comunicazione a distanza di intere frasi e sequenze di idee.

Un aborigeno che suona il "didjeridoo" al Kuranda's Tjapukai Dance Theatre di Cairns.

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