UN MUSEO VIVENTE DI ANTROPOLOGIA
parte seconda

Nonostante la vastità del territorio non rendesse facile il rapporto tra le varie etnie, si svilupparono momenti di incontro fra le tribù, fatti di rituali, balli e canti. Momenti in cui i membri si concedevano l’un l’altro il diritto di transito sulle rispettive vie ancestrali: una pratica erratica che spinge (ancora oggi) l’aborigeno a percorrere per giorni, mesi o addirittura anni, lunghi tratti nella foresta alla ricerca di una persona che, spesso, neanche conosce.
Le espressioni grafiche delle diverse etnie erano condizionate da fattori ambientali. Nei deserti centrali e occidentali si diffuse il disegno sul terreno; fra le foreste di Arnhem Land prevalse la pittura su corteccia, oltre alle incisioni e ai dipinti rupestri diffusi anche nel nord del Queensland, nel Victoria e nel sud dell’Australia Occidentale. Gli animali erano i soggetti più diffusi delle pitture nelle caverne: pesci, uccelli, tartarughe e coccodrilli erano raffigurati non solo nel loro aspetto esteriore, ma completi di cuore, scheletro, polmoni e intestini.

All’arrivo dei coloni inglesi gli aborigeni erano uno dei pochi esempi di popolazione ferma al paleolitico.
Come altri popoli nomadi si adattavano all’ambiente senza cercare di mutarlo, anche perché i loro miti sulla creazione li identificavano nella terra stessa che calpestavano con passo leggero e ringraziavano per i frutti che donava loro.
Con lo sbarco degli inglesi arrivarono le malattie endemiche come il vaiolo, la tubercolosi, il morbillo; arrivarono anche la crudeltà e l’abuso, così che gli aborigeni furono vittime di vere e proprie battute di caccia all’uomo che i nuovi “padroni” organizzavano per divertimento.

D'altra parte, un popolo con queste caratteristiche non aveva alcuna possibilità di avere la meglio sull’aggressività dei coloni, la cui tecnologia militare portò queste tribù, nel giro di dieci anni, sull’orlo dell’estinzione.
I pochi sopravvissuti “preistorici” furono spinti nelle riserve e, anche grazie alla “volenterosa opera educativa” di tanti missionari, la loro cultura si sgretolò.
Quando nel 1860 vennero sancite nello stato del Victoria una serie di norme per la tutela della loro vita, ne erano sopravvissuti 50 mila in tutto il Paese. Abitavano per lo più i territori desertici dell’Australia centrale e occidentale, le paludi di Arnhem Land e la giungla del Queensland, e forse devono ringraziare soprattutto l’inospitalità delle loro terre se furono salvati dal genocidio.
Dipinti rupestri aborigeni nel Parco Nazionale del Kakadu.

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