UN MUSEO VIVENTE DI ANTROPOLOGIA
parte terza

Oggi si contano in Australia circa 160 mila aborigeni, 230 mila con i mezza casta. Sradicati dalla terra e dalle loro abitudini di vita vivono con difficili problemi di integrazione e le periferie delle grandi città sono il teatro del loro dramma umano.
Liz è membro del “Land Rights”, un’associazione che si batte per i diritti civili dei neri d’Australia e i “numeri” che li riguardano sono sconfortanti: "La loro aspettativa di vita è di 49 anni contro i 79 degli altri australiani; la mortalità infantile è tre volte superiore alla media; solo l’1 per cento dei bambini termina la scuola dell’obbligo. Ma quello che più di ogni altra cosa si deve sapere, Miss, è che gli aborigeni, pur rappresentando 1’1,4 per cento della popolazione, sono il 14,5 per cento di quella carceraria. Finiscono in galera con una frequenza venti volte superiore a quella dei bianchi, quasi sempre per reati connessi all’alcolismo. E questo per la mia gente vuol dire follia".
Il concetto è chiaro: prima dell’arrivo degli inglesi gli aborigeni non praticavano alcuna forma di coercizione e concepivano solo la vita all’aria aperta: lo spostamento nello spazio è fondamentale per la loro cultura e in cella perdono il senso stesso della vita. Il suicidio, pratica sconosciuta fino all’arrivo dei bianchi, è diventato così una delle cause primarie di morte tra i detenuti aborigeni, tanto da spingere Amnesty International, nel 1988, a denunciare il governo australiano di gravi violazioni dei diritti umani. Il fenomeno si è attenuato negli anni Novanta, ma nonostante siano stati fatti dei passi avanti verso l’integrazione, soprattutto nelle città il rapporto tra australiani bianchi e neri continua ad essere teso. Intanto, come tentativo di riscatto dall’emarginazione, negli anni Ottanta è emersa una cultura aborigena che qualifica l’Australia nel mondo, un fenomeno che coinvolge soprattutto l’arte figurativa. Così, nei dipinti moderni tornano i colori dell’outback (entroterra): rosso, ocra, marrone e giallo sono trasferiti sulle tele in un gioco di punti, cerchi e linee che simboleggiano le vie cantate dagli Antenati e che confermano la continuità con la tradizione religiosa.
Le mostre dei pittori dell’outback hanno attraversato l’oceano per affermarsi ovunque. Il prezzo delle loro tele è salito di venti volte in pochi anni e mentre critici allibiti cercano di classificare tali disegni come concettuali, simbolici, spirituali o quant’altro, gli artisti aborigeni, per la prima volta, con la loro pittura, hanno creato un ponte tra il loro universo e il resto del mondo. Michael Tjakamara, artista aborigeno, autore della principale pittura murale della Sydney Opera House, parla così dell’arte della sua gente: "Desideriamo mostrare i nostri dipinti perché tutti capiscano che per noi la cosa più importante è la Terra. Illustrando il “Tempo del Sogno”, vogliamo far riflettere i bianchi sulla violenza che il nostro popolo ha subito".

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