La storia
BEATO GERARDO DI NÈVERS

(a sinistra)

Nato dal conte Rinaldo II il suo vero nome era Guglielmo e fu un ottimo soldato del re di Francia Ludovico VI. Nel 1147, dietro suggerimento di San Bernardo, il nuovo re Enrico VII in partenza per le crociate lo nominò, insieme all’abate Sugerio, suo sostituto al trono. Egli rifiutò la nomina entrando nella Grande Chartreuse come converso. Nell’affresco è raffigurato con un agnello ai piedi poiché egli era l’addetto alla cura delle pecore del monastero.

BEATO STEFANO MACONI DA SIENA

(a destra)

LA CERTOSA RACCONTA ...

di Daniela Pogliani Ceccato
Parte quarta

Non dormirono i monaci quella notte.
Neppure Anselmo, quello che a ogni confessione, contrito, diceva della sua fatica a rispondere con gioia alla campanella della Prima orazione. Qualche volta, persino in coro, il corpo aveva vinto lo spirito e la testa di Frate Anselmo avrebbe ciondolato nel più serafico (ma per lui satanico) dei sonni. Non dorme Paolo, anche se per più di un’ora ha ripetuto: «Signore, io mi prendo questo sonno perché Voi così volete. Intanto metto l’anima mia nelle Vostre sante mani, e Vi offro tutte le lodi che, mentre io dormo, Vi tributeranno gli spiriti beati». Macché, le palpebre di Paolo restano incollate all'insù. È una notte senza luna, senza stelle. Pioviggina. Forse anche il cielo sta piangendo, come Luca che si aggira nella cella. I muri lo guardano stupiti: in diciasette anni non avevano mai visto una lacrima nei suoi occhi. Da quel giorno lontano, quando vi entrò per la prima volta, smarrito dallo spazio e pensò a voce alta: “Così tanto per me solo?”.
Lo spazio di una cella era di ottanta metri su due livelli: sopra il luogo per la preghiera, lo studio, e il riposo; sotto la legnaia e il laboratorio, con il tornio, il banco da falegname, gli strumenti per il traforo, l’intaglio, la scultura, la pittura, la miniatura. Davanti, un giardinetto dove coltivare i fiori per l’offerta e la verdura per il nutrimento.
Anche Daniele si aggira nella sua cella fra le poche seggiole, la tavola di legno, la piccola biblioteca, la statua della Madonna, qualche immagine pia, il pagliericcio, due coperte di panno, un inginocchiatoio, un’acquasantino, un crocifisso.
Non c’è proprio niente di suo, nulla da portare via. Se ne andrà con la sola veste, la stessa che ha indossato nelle estati e negli inverni: sei chili di lana grezza bianca. Non dorme Antonio, sta scrivendo una lettera che non invierà. Il destinatario è la sua mamma. Riposa nella pace del Signore da sei anni e lui lo sa, ma è così umano nel momento in cui il cuore tremola “rivolgersi” a colei che ci ha dato la prima vita, le prime coccole, i primi incoraggiamenti. «Mamma cara, scrive, ricordi il tuo e il mio spavento quando Dio mi chiamò? Non per predicare, non per testimoniarLo nelle strade fra le genti, ma perché Lo servissi nel silenzio e nella solitudine, con la preghiera. Fu spavento, sì, ma anche gioia grande; la Sua voce era forte, non lasciava scampo. Tu fingevi - ricordi? - di non capire e urlasti: Ma perché, perché la clausura doveva chiederti? In realtà io non lo sapevo e non lo so; ti risposi come potevo e ti dissi: Perché tu ti sei innamorata di papà, proprio di lui e non di un altro uomo? Ci sono ragioni che la ragione non comprende. Non ne parlammo più. Stasera però sono io che vorrei farti una domanda: Perché ora Lui vuole ributtarmi nel mondo? Mamma prega per me, intercedi, aiutami, che io possa dire come disse Lui: Padre, sia fatta la Tua volontà -e non come sto pensando- che mai sarà di me?».
È bella la grafia di Antonio, nelle ore riservate al lavoro (da sesta a vespro), si era dedicato all’arte della miniatura. Il tratto si era fatto sempre più sicuro, preciso, paziente.
Anche Francesco non dorme, ma è sereno; pensa secondo l’antica grande fede: Dio vede, Dio provvede.

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