La storia e l'arte
Il monaco martire Dom Humphrey Middlemore.

LA "SISTINA" DI MILANO

di Ferdinando Zanzottera
Parte terza

Intanto i visitatori, incuriositi ed attratti dalla santità dei monaci, chiedevano di incontrarli. A creare questa aurea di splendore di santità attorno alla comunità monastica contribuì sicuramente anche il Petrarca che visitò diverse volte questo monastero e, dopo aver visto anche la Grande Chartreuse, affermò: “Son dunque stato in Paradiso: ho visto gli Angeli di Dio in terra; ho visto viventi in corpi Terrestri, coloro che presso il Cielo sarà loro dimora”. La tradizione narra che il Petrarca si recasse in Certosa ogni settimana e che nel monastero avesse libero accesso. Nella realtà le sue visite dovettero essere assai meno frequenti, anche se si è certi che egli definì la Certosa di Milano “bella e nobile”.
Come accennato, la Certosa milanese era stata costruita lontano dalla città per consentire ai monaci di poter vivere in silenzio e in solitudine. Essa sorgeva non molto distante dalla strada postale che congiungeva Milano a Varese e a Gallarate ed era inserita nel Bosco della Merlata. La zona era infestata dai briganti e la Certosa costituì per molti anni un rifugio sicuro per i pellegrini e per i viandanti.
La pace e la serenità monastica furono tuttavia turbate il 23 aprile del 1449, quando numerosi briganti entrarono nel monastero saccheggiandolo. I cronisti dell’epoca sottolineano che i monaci non reagirono contro gli assalitori, ma raccontano come uno dei malfattori morì due giorni dopo il furto sacrilego e che numerosi altri briganti perirono nel breve arco di tempo di un mese.
La banda più sanguinaria e conosciuta fu tuttavia quella capeggiata dal Legorino, che per molti decenni “lavorò” quasi indisturbata nei boschi che si estendevano da Garegnano a Novara. Si trattava di una banda di “nobile” tradizione familiare, la cui arte del furto, dell’imboscata e dell’assassinio veniva tramandata da padre in figlio. L’indiscusso capo era Giacomo Legorino, che fece entrare nella “cricca” anche il padre, il figliastro ed i cinque figli. Questa banda, che contava più di ottanta “compagni”, terrorizzò il circondario di Milano.
Fu sgominata tra il 1566 ed il 1568, quando i suoi componenti furono arrestati ed uccisi. Giacomo Legorino fu catturato all’età di trent’anni grazie alla denuncia di un mercante al quale il bandito aveva salvato la vita e fu giustiziato poco distante dal monastero certosino il 28 maggio 1566 insieme a Battista Scorli, un suo compagno che confessò di aver ucciso più di 300 persone.
I signori di Milano, che dimostrarono tutta la loro munificenza e generosità nell’edificare la Certosa di Milano e quella di Pavia, non si dimostrarono altrettanto benevoli con questi briganti, che per loro stessa ammissione avevano compiuto tanti delitti che se un ufficiale della polizia avesse scritto “giorno e notte per un mese continuo” tutte le loro malefatte, non avrebbe potuto raccoglierne che “la quarta parte”. Il territorio di Garegnano, quindi, non conobbe solamente la santità dei monaci certosini, ma anche le atroci vicende di questi briganti che furono trascinati con i cavalli per oltre due ore, vennero loro rotte “le gambe, le braccia, e la schiena”, furono messi sulla ruota e tagliata la gola.

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