SERVIZIO SPECIALE: SIRIA dove le pietre pregano .
copertina ss
Copertina del Servizio Speciale del mese di Maggio 2001


prete ortodosso
Nella foto:
un prete ortodosso durante la liturgia ricca e solenne



di Monica Vanin
foto Calloni

Il papa a Damasco, nella Grande Moschea: incredibile! Non erano in molti ad aspettarselo. Forse, mentre state leggendo, ci sono già fotografie “storiche” che stanno facendo il giro del mondo.
Ci voleva proprio, questa ennesima avventura profetica di Giovanni Paolo II. Mai come oggi i cristiani d’Oriente hanno bisogno di una prospettiva nuova, che li aiuti a uscire dalla loro condizione di assediati. In Siria non si fanno più statistiche religiose da mezzo secolo, ma è certo che i cristiani, ormai, non superano il 10-12 per cento della popolazione (islamica almeno all’80 per cento). Cinquant’anni fa, invece, erano il doppio. È una vera emorragia, che per ora non dà segni di volersi fermare.
“Anche la demografia ha il suo peso” ci hanno detto alcuni attenti osservatori. “I musulmani crescono a un ritmo molto superiore rispetto ai cristiani. Ma il fatto è che molti si sono stancati di vivere come cittadini di serie B. Tanti emigrano. Altri si convertono, per avere vita più facile, e non solo nel lavoro: i musulmani, per esempio, divorziano molto più facilmente dei cristiani! Un problema grandissimo, perciò, è la fragilità della fede, delle sue radici. Ci mancano le scuole, i centri di studio, mancano gli istituti superiori di teologia. Non è facile, ma in questi anni qualcosa si sta muovendo”.
Tra le realtà "in movimento", c'è il grandioso e nuovissimo Centro greco-cattolico di spiritualità, Mar Tuma. Non solo è adatto ad accogliere il patriarca, i vescovi e altri ospiti illustri (fra i quali, immaginiamo, anche il papa), ma è aperto ai laici (ai giovani in particolare) e ai religiosi. È un luogo ideale per i "ritiri" e avrà presto una grande biblioteca. Può contare su alcuni straordinari sacerdoti, che si dedicheranno esclusivamente a questo scopo. Mar Tuma non è un simbolo di prestigio, è un grande segno di speranza.
Per secoli, sono state le persecuzioni, a colpi di spada, di fucile e di tasse vampiresche a carico degli “infedeli”, a dissanguare le comunità cristiane, ma questo non ha impedito loro di accumulare il vero, grande patrimonio: santi e martiri, la risorsa del monachesimo, tanti padri della Chiesa, una spiritualità di prim’ordine, una ricchezza liturgica senza confronti. Ma si sono anche divisi in una galassia di riti diversi, spianando ulteriormente la strada all’islamizzazione di questo territorio così strategico. Oggi, la comunità più rappresentata è quella greco-ortodossa (circa 500 mila fedeli); seguono i greco-cattolici (200 mila), gli armeni ortodossi (100 mila) e gli armeni cattolici (35 mila); i siro-ortodossi (90 mila) e i siro-cattolici (40 mila). E poi ancora i 30 mila maroniti, i 30 mila caldei, i 30 mila nestoriani. Le "famigliole" più ristrette, in termini numerici, sono proprio quelle di noi latini e dei protestanti, che contano 10 mila fedeli ciascuna.
In ogni modo, se il Papa potesse entrare anche nelle palazzine di certi quartieri di Damasco, ammirerebbe la fierezza dei cristiani di Siria, che si esprime in ogni dettaglio della vita quotidiana. In questo Paese, dove al fondamentalismo religioso è stata messa la museruola, la fede viene professata apertamente e l’appartamento di un cristiano può farsi riconoscere fin dal pianerottolo: sopra la porta d’ingresso, molte volte, è appesa un’immagine sacra. Entri, e lo sguardo della Madonna e di Gesù (e perché no, anche quello di padre Pio) ti saluta da ogni stanza. Gli inquilini ne sono orgogliosi. Proprio come noi, che stiamo facendo sparire i crocifissi dalle scuole.
Questa minoranza che vive, da tanti punti di vista, quasi come un corpo separato, è una minoranza istruita e moderata, sulla quale il defunto presidente Assad (musulmano alauita, “minoritario” anche lui) ha sempre contato, per governare il Paese. E loro, che sanno cosa vuol dire vivere da cristiani in altre nazioni islamiche, hanno ricambiato la tutela del regime con un alto grado di devozione.
Ne viene fuori un cocktail particolare, spesso controproducente. La paura di fare passi falsi in un mondo culturalmente ostile, combinata al patriottismo, contribuisce a frenare le richieste di cambiamento. Se aggiungiamo le divisioni tra i cristiani (uno scandalo al quale bisogna mettere al più presto la parola fine), il quadro è completo, e per niente roseo.
Ma in regioni come queste, nessuno ha la soluzione in tasca. Un maggiore spazio di democrazia, una “concessione” in più ai cristiani, ci è stato detto, significa altrettante concessioni a minoranze più aggressive e temibili. E poi la storia, la cultura così diversa cresciuta qui ha un peso immenso: non si può trapiantare in Siria una mentalità maturata altrove, fosse pure la benedetta democrazia occidentale. Troppo spirito di crociata, tra Occidente e Oriente, troppi giudizi e pregiudizi da sciogliere, complicati dalle malizie della politica. Il fiore della rinascita cristiana che spunterà qui sarà originale, profondamente siriano, e ha ancora bisogno di tempo per aprirsi completamente alla luce.
Intanto, il minimo che possiamo fare per questi fratelli misconosciuti, è starli ad ascoltare. Tutto, di loro, ci riguarda. L’Oriente, specie quello affacciato sul Mediterraneo, è cosa anche nostra. La sua storia, le sue sfide, le sue culture, fanno parte del nostro destino: compreso l'Islam, una realtà che non può essere affrontata solo in termini difensivi o di contrapposizione.
«O c’è speranza per tutti», dice sempre adre Paolo Dall’Oglio (monaco, sacerdote e gesuita tra i monti di Siria), «oppure non ce n’è per nessuno». Parole sacrosante, come poche altre che ho sentito dire al mondo.