SERVIZIO SPECIALE: SIRIA dove le pietre pregano .
copertina ss
Copertina del Servizio Speciale del mese di Maggio 2001


rovine della basilica di san Sergio
Le impressionanti rovine della basilica dedicata a san Sergio

la basilica di Sergiopolis
La porta della navata laterale della basilica dalla quale si scorge la città di Sergiopolis

cisterna storica
La monumentale cisterna della città che le ha permesso di superare lunghi assedi

le navate della basilica

Le tre navate della basilica



di Monica Vanin
foto Calloni

Un semplice soldato, torturato e ucciso per non aver rinnegato la fede, ha lasciato una traccia così profonda nei cristiani della Siria orientale da “ribattezzare” un’intera città. Così l’antica Rasafa è diventata Sergiopolis.

L'Eufrate e la diga del lago Assad non sono affatto lontani, ma qui, nei dintorni di Rasafa, a 185 chilometri da Aleppo, l’acqua è proprio un miraggio. Siamo in pieno deserto: l’unica compagnia sono i fantasmi rosei e turbolenti che il vento solleva qui e là, senza preavviso. Ma a parte i mulinelli di sabbia, la sorpresa più grande è lei, che d’un tratto ci viene incontro, dall’orizzonte disabitato: Rasafa, la Sergiopolis bizantina, un gioiello cinto di mura, sfavillante nel silenzio e nella canicola.
Resef, in arabo, vuol dire “pietra lucente”. Anche qui infatti, come a Dura Europos sull’Eufrate, si è costruito con pietre gessose, che luccicano al sole.

L’OSTINAZIONE DELLA BELLEZZA

Attraversando col naso in aria la stupenda porta nord (così vasta da racchiudere un cavedio, cioè un cortile interno), anche noi, come tutti quelli che passano di qui, siamo pieni di meraviglia. Dopo 1.500 anni di erosioni, terremoti e assalti armati che si sono accaniti sulla città, i capitelli e i fregi raffinatissimi degli archi sono ancora intatti, più belli che mai.
Ma le origini di Rasafa risalgono a qualche millennio prima della favolosa porta: a quando esattamente, non si sa. Il suo nome, a ogni buon conto, fa capolino sia nella bibbia sia negli annali dei terribili assiri, che come al solito hanno provveduto a farne terra bruciata. Povera città, tormentata da ondate successive di devastatori! Tali sono stati i persiani, per esempio, e i califfi abbasidi che nell’VIII secolo erano ai ferri corti coi loro predecessori omayyadi. Rasafa, però, è sempre riuscita a rifiorire, grazie ai suoi attivissimi mercanti, in grado di garantirle una sopravvivenza più che decorosa. Le bellissime ceramiche di lavorazione islamica che sono state trovate qui lo testimoniano ampiamente.

UN SANTO TRA LE SABBIE

Oggi, tutto lo spazio circondato dalle mura si presenta come uno stranissimo e immenso “nido d’ape”. Sono le buche scavate dai nomadi, che hanno utilizzato a lungo la città morta per i loro bivacchi provvisori. Ormai, sono soprattutto il paradiso dei ragazzini e dei cercatori di tesori, che raspano tra le rovine disertate dagli archeologi.
Tra un disastro e l’altro, comunque, Rasafa ha vissuto alcuni secoli di splendore. Questi sedicimila metri quadrati di sabbia hanno ospitato, in epoca bizantina, almeno tre chiese. La più grande, in particolare, è dedicata a uno dei santi più venerati della Siria: Sergio, un soldato dell’esercito romano, di stanza a Barbalisso (una piazzaforte che ormai dorme sul fondo del lago Assad), forse negli anni in cui infuriava la “grande persecuzione” contro i cristiani, inaugurata da Diocleziano nel 303.

IL CORAGGIO DI SERGIO

L’imperatore, che aveva puntato molto sul potenziamento dell’esercito, esigeva dalle sue milizie una fedeltà incondizionata. I cristiani si rifiutavano di venerare Cesare come una divinità e di giurargli l’obbedienza assoluta dovuta a Dio solo. Diocleziano, perciò, pensò bene di epurare le sue truppe da questi soggetti infidi e pericolosi.
Sergio non abiurò: confessò la sua fede cristiana, e la pena che gli venne inflitta fu davvero tremenda. Con i piedi trafitti dai chiodi, fu costretto a trascinarsi da un accampamento fortificato all’altro: Barbalisso, Sura, Tetrapirgio. Per il povero Sergio, che certo si lasciò dietro un’impressionante scia di sangue, fu una vera e propria via crucis, percorsa tra gli insulti e i sarcasmi dei soldati e degli ufficiali pagani, ma anche, dobbiamo credere, tra le preghiere e le lacrime inghiottite in silenzio dei cristiani della zona.
Sotto il sole cocente, che avrebbe annichilito chiunque, Sergio giunse vivo a Rasafa, la sua ultima tappa, e qui fu decapitato.

IL SANTUARIO DEI NOMADI

In quello stesso periodo, a Sura, un altro soldato eroico, Bacco, subiva lo stesso destino. Così, nel cuore dei cristiani del IV secolo, i nomi di Sergio e Bacco furono indissolubilmente legati, ed entrambi furono proclamati protettori delle milizie.
Il sollievo per la fine della persecuzione fu immenso. Ma il martirio di Sergio si era talmente stampato a fuoco nell’anima della comunità cristiana di Rasafa, che la prima chiesa a lui dedicata venne costruita già all’epoca di Costantino. La grande basilica a tre navate, che ancora si lascia ammirare (specialmente nell’abside, così ampia e ben conservata da prestarsi ancora alla liturgia), risale invece al secolo successivo. Sotto l’altare, in una piccola grotta, riposava probabilmente il corpo del veneratissimo Sergio.
La basilica divenne subito cara alle tribù nomadi della Siria orientale, che la adottarono come il loro santuario personale. La città, ribattezzata Sergiopolis, era ormai un grande centro di evangelizzazione della Siria, arricchito dai doni e dagli ex voto di migliaia di pellegrini.

L’ACQUA SEGRETA

Tanto ben di Dio (è il caso di dirlo) attirò l’avidità dei persiani, convinti di riuscire a prendere per sete questa città isolata in mezzo al deserto. Ma l’accorto Giustiniano, imperatore bizantino, non solo aveva rafforzato (qui come in tutto l’impero) la cerchia delle mura urbane, ma aveva anche fatto scavare un’enorme cisterna, arte nella quale era espertissimo. Basta pensare a quella di Istanbul, che non solo si può ammirare ancora oggi, ma funziona benissimo, perfino meglio di certi acquedotti.
La preziosa cisterna di Sergiopolis si intravede ancora, attraverso gli squarci nel terreno, e si intuiscono le sue dimensioni, ormai molto ridotte dall’invadenza della sabbia. Doveva avere una capacità talmente grande che fu Cosroe I, l’imperatore persiano, ad arrendersi alla sete e non gli assediati. Purtroppo, il suo successore Cosroe II, trovò il modo di forzare le difese della città e di saccheggiarla, durante la sua marcia vittoriosa verso Gerusalemme.
Per Sergiopolis-Rasafa, comunque, non era ancora suonata l'ora della fine. Fu la deportazione in massa della popolazione, ordinata dal sultano mamelucco Beibars, e infine il passaggio delle orde mongole, a spegnerle il cuore, ad ammutolirla per sempre.
No, non per sempre. Migliaia di cristiani fanno ancora tanta strada per raggiungere quest’angolo di deserto (seimila in un solo giorno, durante la preparazione al Giubileo!), per radunarsi in liturgie eucaristiche surriscaldate dal sole, restituendo a queste pietre qualche goccia del fervore e della fede che sono state il loro vero segreto, la loro gloria di un tempo.