di Monica Vanin
foto Calloni
A Maalula, una battagliera comunità di cristiani, che parla un aramaico molto simile a quello usato da Gesù, difende da secoli un patrimonio di fede, di bellezza e di tradizioni.
Ogni 13 settembre, verso sera, il villaggio cristiano di Maalula, a una cinquantina di chilometri da Damasco, entra in un gran fermento.
Fuori dal paese arroccato sui monti, la fila delle auto parcheggiate si allunga a dismisura. Lagglomerato di case dai colori pastello, sovrapposte come gradini sullo sfondo roccioso, si riempie di vita come in nessun altro giorno dellanno. Il giorno dopo sarà il 14 settembre, lEsaltazione della Croce: non una festa tra le altre, ma la festa del paese, famosa da secoli in tutta la Siria.
Secondo la tradizione, quando santElena, madre dellimperatore Costantino, trovò la reliquia della Croce di Gesù a Gerusalemme, la notizia arrivò fino a Costantinopoli grazie a unininterrotta collana di fuochi, accesi di monte in monte dalla Palestina al Bosforo. Anche queste alture del Qalamun, ai piedi dellAntilibano siriano, tanto familiari ai cristiani fin dai primi secoli, si sono incoronate di luci, e la comunità cristiana di Maalula (che è stata sede di un vescovado fino al XIX secolo) è riuscita a conservare il ricordo e la tradizione legati a quel fatto straordinario.
I TIFOSI DELLA SANTA CROCE
Ancora oggi, la sera della vigilia, dopo la lunga celebrazione del Vespro, due processioni distinte escono dal paese, ognuna in direzione della propria montagna. Il monte a sinistra, dalla parte del convento dei santi Sergio e Bacco, è territorio dei greco-cattolici; quello di destra, dove è arroccato il convento di santa Tecla, è invece la zona dei greco-ortodossi.
I fedeli marciano di buon passo verso i crinali (portando sulle spalle il vescovo fino alla cima, come abbiamo visto fare ai cattolici) e sembrano proprio tifoserie scalmanate, mentre urlano: «Fate largo, oggi è la nostra festa!», a ritmo di bastoni e di tamburi. Una volta arrivati, accendono i fuochi e li alimentano fino allalba: uno spettacolo straordinario, anche se non privo di qualche rischio (ogni tanto, dallalto, vola giù un copertone incendiato).
A noi, questi cristiani battaglieri fanno un certo effetto. «Non solo a voi - dice ridendo la nostra guida locale -. Perfino i poliziotti, oggi e domani, si terranno alla larga da loro!». Ma è raro che capitino incidenti. La gente pensa piuttosto a far festa per tutta la notte sotto le stelle, nella frescura dei 1.650 metri di quota, con amici e parenti, ma anche con ospiti di passaggio (come noi, per esempio) accolti con generosità e simpatia.
Passata la congestione dei festeggiamenti, è più facile apprezzare la quiete di santa Tecla (il convento dove le suore ortodosse si occupano dellassistenza alle orfane) e specialmente la grotta-reliquiario della santa, scavata nella roccia, a picco sul panorama. Dalla terrazza, un maestoso albicocco allunga la chioma verso il sole, dissetato dallacqua miracolosa che stilla dal soffitto in una piccola vasca. Prega con fede e bevi fino allultima goccia, dice un cartello, vicino alla tazza di metallo: e sono in tanti ad accettare linvito.
Nel minuscolo reliquiario pieno di icone, una monaca confeziona batuffoli di cotone imbevuti di olio benedetto. Le madri, che vengono qui numerose, amano passarli sulla fronte dei propri bambini. Da unillustrazione appesa fuori, sulla parete, un Gesù sofferente veglia su questo rito domestico, tenendo tra le mani un corpicino insanguinato, simbolo dei milioni di bimbi abortiti in tutto il mondo. Anche Tecla, del resto, è stata espulsa con la violenza dal seno della sua famiglia. È come se tutti i bambini e tutte le madri (anche quelli rifiutati, anche quelle che rifiutano) fossero affidati alla sua intercessione.
IN SALITA, VERSO IL PASSATO
Anche noi ci affrettiamo attraverso la fajj Takla, la via di fuga che il Signore, si dice, ha aperto nella roccia per salvare Tecla dai persecutori. È una profonda fenditura che corre alle spalle dellabitato e collega le due estremità dellanfiteatro montuoso di Maalula. Ogni tanto, questo passaggio segreto apre bellissimi squarci sulle case e la valle. Peccato per leccesso di graffiti (più o meno devoti) che lo tappezzano.
Lassù, dal lato opposto rispetto a santa Tecla, sorge lantichissimo convento dedicato ai santi Sergio e Bacco, detto familiarmente Mar Sarkis, san Sergio. È una specie di nido daquila, in una spettacolare posizione di dominio. Tutto intorno, la montagna è traforata da grotte, che per secoli sono state rifugio degli abitanti e dei monaci. Lintera regione è segnata da queste e altre tracce della presenza paleocristiana, ma sono il convento di San Sergio e la sua chiesa a conservare i segni più singolari del passato remoto di Maalula.
Su questa cima, infatti, sorgeva un tempio pagano. I cristiani, dopo gli editti di Costantino, decisero di abbatterlo, recuperandone in vario modo le strutture. Non a caso, il legno della porta del monastero e le travi della chiesa bizantina hanno circa duemila anni (parola degli scienziati tedeschi che li hanno analizzati) e gli altari sono ispirati agli altari pagani.
Il più grande, in particolare, ha la caratteristica forma a semicerchio, coi bordi rialzati; manca però ovviamente il foro che serviva a far defluire il sangue degli animali sacrificati, e mancano le loro immagini scolpite sui bordi.
Laltare di Sergio e Bacco ritorna in unimmagine molto particolare, unantica icona divisa in due, che fa parte del vero e proprio tesoro di icone conservate nella chiesa. La parte superiore raffigura la Crocifissione, la metà inferiore, invece, lUltima Cena, con gli apostoli radunati intorno alla tavola (semicircolare, non a caso!) mentre il Cristo, Divino Servitore, siede in disparte abbracciando un Giovanni quasi fanciullo.
Altre icone sono più recenti, ma originalissime, come il Battista sorridente, che attende il martirio in tutta tranquillità, a gambe accavallate, appagato dallaver portato a termine la sua opera di precursore. Le più belle, però, sono alcuni capolavori di Michele da Creta, che nellOttocento ha rivestito di un tripudio doro, broccati e damaschi il Cristo Re, la Madonna col Bambino, e i due santi titolari, Sergio e Bacco, rappresentati a cavallo, coi raffinatissimi mantelli fluttuanti nel vento, belli come principi orientali.
Difesa dalla natura e dal grande temperamento della sua gente (lIslam, qui, ha una presenza davvero minima), Maalula ha conservato intatto un patrimonio di tradizioni unico al mondo. Non per nulla ha partecipato con i suoi vescovi a cinque dei famosi sette Concilii della Chiesa delle origini: da Nicea, nel 325, al secondo concilio di Costantinopoli del 553. Non un semplice villaggio, insomma, ma un insediamento cristiano illustre.
La cosa che ha reso celebre Maalula, però, è la lingua parlata dagli abitanti (e da quelli di due villaggi vicini, Jabadin e Bakhah): una varietà di siriaco, o aramaico occidentale, praticamente identico a quello usato in Palestina, ai tempi di Cristo. Nonostante la mancanza di una vera tradizione scritta, i cristiani hanno cercato di valorizzarlo in tutti i modi, e i monaci greco-cattolici (i Basiliani del Santissimo Salvatore) proprietari di san Sergio vendono al pubblico alcune audiocassette registrate, con il rito del Venerdì Santo e il Padre Nostro celebrati e recitati in aramaico.
Per chi non conosce il suono di questa lingua, è unemozione sentire la preghiera che abbiamo imparata fin da bambini come devono averla ascoltata i discepoli e gli apostoli di Gesù, la prima volta. Il calore, il colore della Sua voce non possiamo immaginarlo, ma le parole sono proprio quelle. È il compimento di quel viaggio nel tempo e nello spazio che è possibile fare tra le strade di Maalula, e che rendono questo paesino appartato dal mondo un ricco, vibrante angolo di Terra Santa.
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